Da occupazione a modello di coabitazione: Porto Fluviale raccontato dall’Arch. Valentina Cocco

Il progetto “Porto Fluviale RecHouse” rappresenta uno dei più significativi interventi di rigenerazione urbana attualmente in corso nella città di Roma. Al centro dell’iniziativa c’è l’ex caserma di via del Porto Fluviale, destinata a diventare un nuovo polo di edilizia residenziale pubblica e servizi di prossimità. Finanziato con 13,2 milioni di euro attraverso il Programma Innovativo Nazionale per la Qualità dell’Abitare (PINQuA), nell’ambito del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), l’intervento mira a trasformare un luogo simbolico in un modello di sostenibilità, inclusione e partecipazione attiva.

Al centro del processo c’è la volontà di dare voce alla comunità che vive nell’edificio dal 2003: 54 nuclei familiari provenienti da 13 nazionalità diverse, protagonisti di un’esperienza di convivenza interculturale rara. Attraverso un Bando Speciale per l’accesso all’ERP e un Avviso di Co-progettazione per gli spazi comuni, il Comune di Roma, in collaborazione con il Dipartimento di Architettura di Roma Tre, punta a garantire continuità a questa esperienza, attivando forme di gestione innovative e partecipate. Il recupero dell’ex caserma si configura così come un’occasione concreta per rispondere al disagio abitativo, restituendo alla città un pezzo del suo patrimonio attraverso un modello di abitare inclusivo e condiviso. Abbiamo parlato del progetto nel nostro articolo “Porto Fluviale RecHouse: rigenerazione urbana sostenibile e inclusiva”

Nell’intervista a Valentina Cocco – Architetto del Dipartimento Coordinamento Sviluppo Infrastrutture e Manutenzione Urbana del Comune di Roma Capitale affrontiamo gli aspetti più sociali del progetto di Porto Fluviale e dei benefici che, a ricaduta sull’intera comunità e città, ne emergono nella gestione virtuosa di questo progetto.

Può raccontarci com’è nato questo progetto di trasformazione della ex caserma militare e quali sono gli obiettivi principali? 

Il progetto di trasformazione di Porto Fluviale nasce dalla volontà di rispondere alla questione del diritto alla casa attraverso un approccio innovativo alla rigenerazione urbana. L’iniziativa prende avvio con il bando nazionale per la qualità dell’abitare (PINQuA), promosso dalla precedente giunta con l’assessore all’Urbanistica Luca Montuori (2017-2021), e con un nuovo approccio all’edilizia residenziale pubblica. Uno degli elementi chiave del progetto è stato il riconoscimento della realtà insediata dal 2003 all’interno dell’ex caserma militare, su cui già l’Università Roma Tre, con i professori Francesco Careri e Fabrizio Finucci, aveva condotto studi approfonditi ed avviato un dialogo.

Nel processo di progettazione, si è voluto superare una visione esclusivamente emergenziale dell’occupazione, considerando che la struttura era un bene inutilizzato da tempo, senza una destinazione attiva. Il Comune di Roma ha quindi colto l’opportunità offerta dalla legge sul federalismo culturale per acquisire gratuitamente l’edificio e destinarlo all’edilizia residenziale pubblica. In questo modo, si è potuto costruire un modello di riqualificazione che, oltre a garantire nuove case ERP, prevede anche spazi pubblici accessibili alla cittadinanza, come il cortile interno trasformato in piazza e servizi collettivi.

Un altro elemento decisivo è stato proprio il bando nazionale PINQuA, che ha riconosciuto il valore innovativo del progetto: Porto Fluviale si è classificato al 9° posto su le circa 300 proposte perché non si è limitato alla riqualificazione edilizia, ma ha integrato un forte coinvolgimento della comunità locale e un processo partecipativo strutturato. La collaborazione con l’Università Roma Tre e il consolidarsi di strumenti come i laboratori di quartiere hanno permesso di costruire un progetto più consapevole e radicato nel territorio con un approccio che ha promosso lo sviluppo di un modello che integra competenze diverse e lavora in sinergia con il tessuto sociale esistente.

La rigenerazione urbana si costruisce attraverso il contributo di gruppi con competenze articolate e differenziate, capaci di formare team di lavoro multidisciplinari che devono collaborare per realizzare progetti che non siano solo riqualificazioni edilizie, ma veri e propri processi di trasformazione condivisa Un processo diventa astratto se devi immaginare un contenitore senza sapere che storia avrà poi questo prodotto”. In questo senso, a Roma si sta consolidando sempre di più la modalità dei laboratori di quartiere, poiché solo attraverso un ascolto continuativo si possono generare processi consapevoli e progetti realmente aderenti alle esigenze e potenzialità del territorio.

Infine, il percorso prevede un “bando speciale” per l’assegnazione delle case ERP, con priorità alle famiglie che hanno vissuto in Porto Fluviale negli anni precedenti. Durante i lavori, il Comune ha garantito loro una sistemazione temporanea nelle case di edilizia pubblica, con il diritto di rientrare una volta completata la riqualificazione. Questo dimostra come il fine sociale fosse chiaro fin dall’inizio: non solo il riconoscimento del diritto all’abitare per chi già viveva nell’edificio, ma anche la creazione di un nuovo spazio pubblico aperto al quartiere.

Quali sono le tempistiche del progetto, rientra nelle scadenze del PNRR che prevedono il completamento entro agosto 2026? E quale  ruolo hanno avuto i fondi europei?

Il progetto di rigenerazione di Porto Fluviale ha avuto inizio circa 6-7 anni fa, quando l’università Roma Tre, ha iniziato a pensare a questo luogo come a un’area di trasformazione. Tuttavia, la vera possibilità di dare una forma concreta e regolarizzare il progetto è arrivata nel 2022, con il bando PINQUA, che ha stanziato circa 14 milioni di euro a budget per il progetto. Da lì, il progetto ha iniziato a prendere piede.

Il PNRR ha giocato un ruolo fondamentale, diventando il vero piano di ripresa per questo intervento. Ha dato la possibilità di sviluppare un progetto che era già in cantiere ma che, fino a quel momento, non aveva i fondi necessari per partire. I finanziamenti europei sono stati determinanti: senza di essi, il progetto non sarebbe stato possibile, poiché i finanziamenti pubblici ordinari non sarebbero stati sufficienti. Alla fine, la strada che sembrava essere la più difficile si è rivelata quella vincente, portando finalmente a un intervento concreto grazie al sostegno europeo.

Co-progettazione e partecipazione

Come è stato strutturato il processo di co-progettazione con i residenti? In che modo la partecipazione della comunità ha influito sulla definizione degli spazi condivisi?

Il processo partecipativo ha coinvolto sia incontri con delegazioni di abitanti, strutturati in un comitato di diritto alla casa, sia momenti aperti a tutti i residenti di Porto Fluviale. Gli abitanti, organizzati attraverso un comitato per il diritto alla casa, il Coordinamento Cittadino Lotta per la Casa, hanno avuto un ruolo attivo nel dialogo con le istituzioni. Nella progettazione, si è scelto di valorizzare le attività che già si svolgevano spontaneamente all’interno dell’edificio, in particolare al piano terra. Ad esempio, il laboratorio di oreficeria, oltre a essere un’attività produttiva, rappresenta un presidio e punto di riferimento importante per la comunità. Questo approccio ha permesso di integrare le esigenze dei residenti in un modello di rigenerazione urbana che parte dalle risorse già presenti sul territorio, senza stravolgerlo e anzi, valorizzando quello che nel tempo è stato costruito.

Oltre ai servizi essenziali, come il centro antiviolenza e il mercato locale, quali altre attività sono previste per favorire l’integrazione e la socializzazione tra i residenti? In che modo queste iniziative possono incidere sull’economia locale e sulla creazione di nuove opportunità per la comunità? 

L’obiettivo è mantenere i servizi già esistenti e, allo stesso tempo, accompagnare le attività nate spontaneamente in un contesto di occupazione verso una loro formalizzazione e generare opportunità economiche. Questo significa creare un sistema più strutturato, in cui associazioni e comitati possano svilupparsi e rafforzarsi, anche attraverso percorsi di capacity building, come certificazioni e corsi di aggiornamento. L’idea è quella di aprire le porte e connettere le realtà interne con il contesto cittadino e di quartiere, affinché non si creino interventi calati dall’alto, ma si valorizzino le piccole economie già presenti. È fondamentale saper ascoltare il territorio senza pregiudizi, riconoscendo e supportando le attività locali per consolidarle e dare loro nuove opportunità di crescita.

Si prevedono attività che consolidino le sinergie già esistenti in armonia con nuove che saranno gestite dal Municipio, tra cui:

  • Spazio per bambini, per favorire l’incontro e la socializzazione tra le famiglie
  • Laboratorio di oreficeria, già attivo, con la possibilità di ampliarlo e strutturarlo meglio.
  • Sala da tè, che diventerà anche uno spazio studio aperto e sala conferenze
  • Sportello antiviolenza, gestito dal Municipio, a supporto delle persone in difficoltà
  • Mercato di beni di prima necessità, gestito dal Municipio per offrire prodotti accessibili al quartiere
  • Ciclo-officina, per la riparazione e il riuso di biciclette
  • Scuola di circo, come spazio culturale e aggregativo

Non è funzionale imporre qualcosa dall’esterno, ma bisogna dare forza e ali alle realtà e alle piccole economie già presenti nel contesto. Ascoltare il territorio senza pregiudizi significa riconoscerne il valore e accompagnarne la crescita spontanea.”

Porto Fluviale ha sviluppato, negli anni, una forte identità comunitaria. Quali elementi sociali, abitudini e dinamiche relazionali si è scelto di mantenere nel nuovo progetto per preservare il senso di appartenenza degli abitanti?

La vera scommessa è passare da un Porto Fluviale con le porte chiuse a un Porto Fluviale con le porte aperte. Questo cambiamento modifica il punto di vista sia di chi vive all’interno, che non è più isolato ma parte di un sistema più ampio, sia del quartiere, che non percepisce più questo spazio come separato.

Per la prima volta dopo oltre vent’anni, l’amministrazione di Roma sta investendo nell’edilizia residenziale pubblica nel centro della città, riconoscendo alle fasce più fragili il diritto di abitare in un contesto centrale. È un’operazione di vera mixité, che va in controtendenza rispetto ai fenomeni che stanno trasformando il tessuto urbano di Roma come la diffusione di B&B, la città-museo e l’aumento degli affitti.

Anche i servizi che verranno attivati manterranno il legame con la comunità esistente: chi già se ne occupava continuerà a farlo, ma con una nuova apertura al quartiere. L’obiettivo è trasformare quello che nasce come un’esperienza interna in un servizio per tutti, superando l’idea che si tratti di uno spazio separato. Un valore generato all’interno di un’occupazione diventa così una risorsa condivisa per l’intero territorio.

Spazi pubblici e socialità

Il cortile di Porto Fluviale diventerà una piazza pubblica, uno spazio di incontro e socialità per il quartiere. Come è stata pensata questa trasformazione per favorire l’interazione tra chi già vive qui e il resto della comunità?

La comunità di Porto Fluviale è sempre stata accogliente, ma per anni, a causa di necessità e limiti legali, lo spazio è rimasto chiuso verso l’esterno. Ora è fondamentale creare una sinergia tra gli abitanti di Porto Fluviale, il Municipio e il Dipartimento del Patrimonio, per superare la logica dell’“occupazione pura” e trasformare l’area in un luogo realmente abitabile e aperto.

L’obiettivo è mantenere l’identità del luogo senza stravolgerla: ci saranno elementi architettonici a definire gli spazi, ma la piazza sarà concepita come un’area di accesso e scambio. Ad esempio, il mercato nei fine settimana rappresenterà un’opportunità concreta di incontro con il quartiere, colmando anche una mancanza di spazi pubblici nella zona.

L’intenzione è di avvicinare i due mondi – interno ed esterno – in modo graduale e sostenibile. Crediamo che il cantiere stesso e la continua rimodulazione di alcuni elementi possano aiutare a far maturare una consapevolezza sociale e a trovare il giusto equilibrio tra i vari interessi in gioco.

Quali sono gli aspetti fondamentali da considerare quando si intraprende un progetto di rigenerazione urbana che vuole davvero essere inclusivo e socialmente sostenibile?

La rigenerazione urbana non può essere affrontata come un progetto teorico, ma deve essere costruita passo dopo passo, adattandosi alle specificità di ogni territorio. Prendiamo ad esempio Porto Fluviale, ma lo stesso discorso vale per realtà come Tor Bella Monaca, Corviale o Primavalle. La chiave di tutto è la fiducia che la comunità sviluppa nei confronti del progetto e delle istituzioni coinvolte.

Inizialmente, spesso c’è una certa resistenza da parte dei residenti, che non sono disposti a considerare certi cambiamenti. Tuttavia, quando percepiscono serietà, coerenza e rispetto delle promesse fatte, si arriva a un compromesso. È un processo complesso, che deve essere costruito caso per caso, senza ricorrere a modelli precostituiti. Ogni progetto di rigenerazione urbana va personalizzato in base alle necessità specifiche del territorio. Non esiste un approccio unico, ma una modalità che si deve costruire a mano a mano, rispondendo alle esigenze locali e creando un legame di fiducia duraturo tra la comunità e il progetto stesso.

Sostenibilità energetica sociale ed economica

Quali sono stati gli interventi di efficientamento energetico fatti sull’edificio? L’Unione europea ha da poco approvato la nuova Direttiva sulla performance energetica degli edifici, che l’Italia deve trasporre nel proprio ordinamento nazionale. Avete tenuto conto di questi parametri per attuare le modifiche?

L’intervento di efficientamento energetico è partito da una condizione di base, praticamente da zero. Ecco cosa è stato fatto:

  • Il gas è stato completamente eliminato, con tutto l’edificio ora alimentato tramite pompe di calore
  • Parte del terrazzo e del tetto è stato destinato all’installazione di pannelli fotovoltaici, contribuendo così alla produzione di energia rinnovabile
  • Purtroppo, non è stato possibile realizzare il cappotto termico poiché l’edificio è vincolato.

Un aspetto interessante riguarda gli infissi: le grandi vetrate che caratterizzano lo stabile sono state sostituite, anche per mantenere l’immagine dell’edificio, particolarmente riconosciuta nel contesto urbano grazie al murales di Blu. La soprintendenza di Stato richiedeva infissi in legno, ma per adeguarsi agli standard di efficientamento energetico, questa soluzione sarebbe risultata troppo costosa, soprattutto per un progetto di edilizia residenziale pubblica. Alla fine, sono stati scelti infissi in PVC, ma con una texture superficiale che riprende l’effetto legno, come richiesto per mantenere la coerenza con l’aspetto originale dell’edificio.

Il progetto di Porto Fluviale sta già emergendo come un modello di riferimento nella stessa città di Roma, tanto che diverse realtà lo guardano come un esempio positivo. Inoltre, sarà presentato alla prossima Biennale, nel padiglione austriaco, come un modello di buona pratica in ambito abitativo, dimostrando che è possibile rispondere alla crescente domanda di casa, come nel caso di Porto Fluviale, con un esito positivo.

Un modello per altri progetti

Quali lezioni sociali possono trarre altri professionisti, amministratori e città da questo progetto di rigenerazione?

Non esiste un modello universale, ma esiste un metodo: non si può pensare di fare tabula rasa e spazzare via la parte vitale di un territorio. È fondamentale saper leggere un territorio senza giudizio, cogliendo sia gli aspetti positivi che quelli negativi. L’approccio deve essere sempre variegato, ma bisogna anche avere il coraggio di riconoscere che un processo che nasce dal basso può essere trasformato e che c’è un valore aggiunto in questo approccio. Si tratta di mantenere il genius loci, di comprendere profondamente il contesto che si ha davanti, cosa che non sempre è facile, soprattutto quando i progetti vengono “calati dall’alto” senza una vera comprensione del territorio.

Prendiamo, ad esempio, il caso di Tor Bella Monaca nel quale sta avvenendo in questo momento un percorso di rigenerazione urbana: un quartiere con 5000 abitanti e case degli anni ’80. Non possiamo applicare lo stesso approccio a un contesto così diverso, perciò è necessario avviare un processo che parte dal basso, tenendo conto delle reali esigenze del territorio. Un elemento importante in questo tipo di rigenerazione è il lavoro con l’università e i laboratori di quartiere: la rigenerazione urbana non può essere realizzata da un singolo dipartimento, ma richiede un gruppo multidisciplinare che coinvolga sociologi, urbanisti, scuole e la comunità locale.L’esperienza di Porto Fluviale solleva una questione interessante: dovrebbero le altre occupazioni avere il diritto di essere stabilizzate? La gestione di un bene comune non è solo una questione amministrativa. Forse sarebbe il caso di pensare a queste comunità come punti di riferimento per il territorio, come è stato fatto con Porto Fluviale, dove è stato necessario un ragionamento più profondo e inclusivo. Inoltre, l’attenzione all’efficienza energetica è un elemento chiave anche nei processi di rigenerazione urbana: non solo consente di ridurre i costi e l’impatto ambientale, ma diventa un’opportunità per rafforzare il senso di responsabilità condivisa e la qualità della vita quotidiana, soprattutto in contesti di coabitazione. L’efficienza, in questo senso, non è solo tecnica, ma anche sociale e culturale.

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