Era nell’aria l’annuncio fatto martedì 1 aprile dal Commissario europeo per la politica regionale Raffaele Fitto: i fondi di coesione europei potranno essere ricollocati su base volontaria verso le nuove priorità strategiche dell’Unione europea, in primis la difesa e la sicurezza. La proposta arriva nell’ambito della revisione intermedia della politica di coesione, obbligatoria nel 2025 per valutare l’andamento di implementazione dei programmi del periodo 2021-2027. L’obiettivo è massimizzare il contributo delle politiche attuali e future dell’UE, adattandole a un contesto economico e geopolitico in continua evoluzione.
La politica di coesione, disciplinata dal titolo 18 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, è la principale politica di investimento dell’Unione e mira a promuovere lo sviluppo equilibrato e sostenibile in tutte le sue regioni, riducendo le disparità economiche, sociali e territoriali tra i vari paesi. Nel periodo 2021-2027, l’Italia ha a disposizione circa 42 miliardi di euro dalla politica di coesione, che, insieme al co-finanziamento nazionale, raggiungono 74 miliardi: seconda solo alla Polonia, le risorse della politica di coesione europea sono essenziali per sostenere lo sviluppo del paese.
La proposta della Commissione europea
La proposta prevede modifiche al quadro normativo dei fondi della politica di coesione con lo scopo di allineare le priorità di investimento alle nuove sfide geopolitiche ed economiche, ed introdurre maggiore flessibilità e incentivi per agevolare il rapido impiego delle risorse e accelerare l’attuazione dei programmi. Difatti, una delle principali critiche mosse alla politica di coesione è proprio la bassa spesa dei fondi.
Nel concreto, gli Stati Membri dell’UE avranno la possibilità di ridistribuire i fondi di coesione già stanziati nei programmi approvati precedentemente per rispondere a cinque nuove priorità strategiche dell’Unione europea:
- Competitività
- Difesa
- Edilizia abitativa a prezzi accessibili
- Resilienza idrica
- Transizione energetica
Questa operazione sarà ulteriormente incentivata grazie alla proposta della Commissione di un prefinanziamento fino al 30% per gli investimenti riallocati, e la copertura dei costi fino al 100% per le regioni in tutte le priorità strategiche.
I rischi della riforma
L’implementazione dei programmi di coesione è effettivamente in ritardo, non solo in Italia, ma in tutta Europa. Tra i fattori che hanno causato questo rallentamento, vi sono la sovrapposizione con la programmazione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), che ha scadenze ravvicinate, e le crisi pandemica ed energetica. Difatti, questa non è la prima volta che i fondi della politica di coesione vengono riallocati per rispondere a nuove priorità urgenti: misure analoghe sono già state adottate per fronteggiare la pandemia, l’invasione russa in Ucraina (con le misure CARE e FAST-CARE), e le alluvioni in tutta Europa (con il programma RESTORE). Il framework normativo della politica di coesione 2021-2027 è stato votato tra il 2019 e il 2021, ben prima che eventi geopolitici ed economici modificassero le priorità strategiche dell’UE. Ma le nuove priorità, fondate sulla difesa e sulla competitività, sono un cambiamento significativo.
Gli obiettivi di difesa infatti sono rafforzare le capacità produttive delle imprese del settore (senza limitazioni geografiche o relative alla dimensione dell’impresa), e sviluppare infrastrutture difensive resilienti o a uso duale, per migliorare la mobilità militare, in linea con il piano di riarmo dell’UE, Readiness 2030. Concretamente, questo significa che i fondi della politica di coesione, originariamente destinati alle regioni e ai settori che necessitano di un maggiore aiuto per colmare il divario rispetto alle aree più sviluppate, finanzierebbero grandi imprese: la riallocazione dei fondi comporterebbe quindi un allontanamento degli obiettivi sociali ed economici della politica di coesione.
“La revisione di metà periodo non deve compromettere l’obiettivo principale della politica di coesione, cioè supportare le regioni più vulnerabili. Abbiamo bisogno di investimenti di cui beneficino direttamente i cittadini e i territori, e non le grandi imprese: gli investimenti devono essere indirizzati verso la creazione di opportunità locali, un’economia verde e giusta, che risponda alle reali necessità delle comunità, anziché favorire settori già forti, rischiando di lasciare indietro chi è più in difficoltà. L’allocazione di risorse per la difesa sottrarrebbe fondi fondamentali alle regioni più vulnerabili, che per lo spirito della politica di coesione devono essere i principali beneficiari di questi finanziamenti.” Dice Francesca Canali, coordinatrice per MIRA Network.
Inoltre, tra i fondi coinvolti nella riprogrammazione c’è anche il Fondo per una transizione giusta, lo strumento europeo destinato a sostenere la transizione verso un’economia più sostenibile in regioni che dipendono fortemente da settori ad alta intensità di carbonio, in Italia attivo nell’area del Sulcis Iglesiente e di Taranto.
“Con la riprogrammazione, la Commissione consente agli Stati membri di dirottare risorse fondamentali per territori come il Sulcis Iglesiente e la Provincia di Taranto verso l’industria della difesa, in contrasto con i principi dei Trattati. Questi fondi non possono essere utilizzati come un bancomat per obiettivi estranei alla loro missione originaria. Va ribadito che la transizione di questi territori è un processo complesso, che richiede tempo, investimenti e una programmazione strutturata. Per questo è essenziale garantire che i fondi restino destinati alle aree che necessitano di maggiore supporto e a progetti capaci di generare un impatto concreto sulla riconversione economica e sociale”. Walter Meloni, ricerca e advocacy per MIRA Network.
Il legame con il PNRR
La comunicazione rilasciata ieri in accompagnamento alla proposta di revisione della politica di coesione include anche il tema dei ritardi del PNRR. Nel testo, la Commissione europea invita gli Stati membri a individuare, entro giugno 2025, i progetti presenti nei loro piani nazionali di ripresa e resilienza che rischiano di non essere completati entro agosto 2026, scadenza fissata per il termine del PNRR e NextGenerationEU. Questi progetti potrebbero quindi rientrare tra quelli finanziabili attraverso la politica di coesione, che offre tempi di completamento più lunghi. In Italia, anche l’ultima relazione sullo Stato di Attuazione degli interventi PNRR della Corte dei Conti ha evidenziato ancora una volta ritardi nell’implementazione del piano italiano, ed è quindi possibile che questa opportunità venga colta, ma bisogna capire in che misura e su quali progetti.
La riforma sarà ora sottoposta all’esame del Parlamento europeo e del Consiglio, con l’obiettivo di concludere il processo di aggiornamento entro il 2025, consentendo l’attuazione dei nuovi programmi già a partire dal 2026.